Richard Courant - Herbert Robbins,

Che cos'e' la matematica?
Introduzione elementare ai suoi concetti e metodi,

Boringhieri, Torino 1971.

(collana: Universale scientifica)

 

CHE COS'E’ LA MATEMATICA?[1]

 

Come espressione della mente umana, la matematica riflette la volontà attiva, la ragione contemplativa e il desiderio di perfezione estetica. I suoi elementi fondamentali sono la logica e l'intuizione, l'analisi e la costruzione, la generalità e I'individualità. Tradizioni diverse potranno mettere in evidenza aspetti diversi, ma è soltanto la reazione di queste forze antitetiche e la lotta per la loro sintesi che costituiscono la vita, l'utilità e il valore supremo della scienza matematica.

Qualunque sviluppo della matematica ha senza dubbio le sue radici psicologiche in esigenze più o meno pratiche, ma, una volta iniziato sotto la pressione della loro necessità, esso inevitabilmente acquista valore in se stesso e trascende i confini dell'utilità immediata. Questo tendere della scienza applicata a quella teorica, si manifesta sia nella storia antica che in molti contributi apportati alla matematica moderna da ingegneri e fisici.

I primi documenti matematici si hanno in Oriente, dove, circa 2000 anni a. C., i Babilonesi raccolsero una gran quantità di materiali che oggi usualmente classifichiamo nell'algebra elementare. Come scienza in senso moderno, la matematica sorge soltanto più tardi, su suolo greco, nel V e IV secolo a. C. Il contatto sempre crescente tra l'Oriente e la Grecia, che ebbe inizio ai tempi dell'impero persiano e raggiunse il suo culmine nel periodo che seguì le spedizioni di Alessandro, rese familiari ai Greci le scoperte dei Babilonesi nel campo della matematica e dell'astronomia.

La matematica fu presto sottoposta all'indagine filosofica che fioriva nelle città-stato della Grecia, e i pensatori greci divennero consci delle gravi difficoltà inerenti ai concetti matematici di continuità, di moto e di infinito, e al problema di misurare quantità arbitrarie con unità assegnate. Il risultato del mirabile sforzo con cui si affrontò la difficoltà, la teoria di Eudosso del continuo geometrico, è una conquista paragonabile soltanto, a più di duemila anni dl distanza, alla moderna teoria dei numeri irrazionali. Il metodo ipotetico-deduttivo nella matematica ebbe origine al tempo di Eudosso e ricevette un'espressione definitiva negli Elementi di Euclide.

            Tuttavia, mentre la tendenza greca teoretica e deduttiva è rimasta una delle principali caratteristiche della matematica ed ha esercitato sempre una profonda influenza nel suo sviluppo, non si metterà mai abbastanza in rilievo che altrettanta importanza ebbero, nella matematica dell'antichità, l'applicazione e i rapporti con la realtà fisica, e molto spesso si preferì un'esposizione meno rigida di quella dl Euclide.

            Probabilmente fu la scoperta, a cui essi ben presto arrivarono, delle difficoltà connesse con gli «incommensurabili» a distogliere i Greci dallo sviluppare l’arte del calcolo numerico, a cui prima si era pervenuti in Oriente, e a spingerli invece ad aprirsi a forza la strada nel groviglio della pura geometria assiomatica. Cominciò così una delle strane deviazioni della storia della scienza, e si perdette, forse, una grande occasione. Per circa duemila anni il peso della tradizione geometrica della Grecia ritardò l'inevitabile evoluzione del concetto dl numero e del calcolo algebrico, che formarono più tardi la base della scienza moderna.

            Dopo un periodo di lenta preparazione, la rivoluzione nel campo della matematica e nella scienza in generale entrò in una fase attiva nel XVII secolo, con la geometria analitica e il calcolo differenziale e integrale. Nei secoli XVII e XVIII la geometria greca conservò la sua posizione importante, ma sparirono gli ideali greci di cristallizzazione assiomatica e di deduzione sistematica. I nuovi pionieri della scienza matematica non consideravano essenziale il ragionamento logicamente esatto, con alla base definizioni chiare e non contraddittorie ed assiomi «evidenti ». In una vera e propria orgia di congetture intuitive, di stringenti ragionamenti intrecciati con un assurdo misticismo, e con una cieca confidenza nel sovrumano potere dei procedimenti formali, essi giunsero alla conquista di un mondo matematico di immensa ricchezza. Gradualmente lo stato di euforia che aveva accompagnato i rapidi progressi cedette il campo ad uno spirito di autocontrollo critico.

Nel XIX secolo questo bisogno immanente di consolidamento e il desiderio di una maggiore sicurezza, nell'estendersi della cultura superiore seguito alla Rivoluzione francese, ricondusse inevitabilmente ad una revisione dei fondamenti della nuova matematica e, in particolare, del calcolo differenziale ed integrale e del concetto di limite che è alla base di questi. Così il XIX secolo non soltanto divenne un periodo di nuovi progressi, ma fu anche caratterizzato da un ritorno, coronato da pieno successo, all'ideale classico della precisione e delle dimostrazioni rigorose. A questo riguardo, anzi, si arrivò a superare il modello della scienza greca. Una volta di più la bilancia pendeva dalla parte della purezza Iogica e dell'astrazione. Attualmente sembra che ci si trovi ancora in tale periodo, ma c'è da augurarsi che la sfortunata separazione che ne è risultata, tra la matematica pura e le sue applicazioni pratiche, che è forse inevitabile in periodi di revisione critica, sia ora seguita da un'era di più stretta unità.

Oggi che la forza interna è riconquistata e, soprattutto, che una più chiara comprensione ha condotto ad una semplificazione enorme, è diventato possibile svolgere la teoria della matematica senza perderne di vista le applicazioni. Il compito principale di questa scienza nell'immediato futuro può ben essere quello di stabilire una volta di più un'unione organica tra la scienza pura e quella applicata, e un perfetto equilibrio tra l'astratta generalità e l'individualità piena di significato.

            Non è questo il luogo per un'analisi filosofica o psicologica dettagliata della matematica; metteremo soltanto in rilievo qualche punto. Sembra che il prevalere del carattere ipotetico-deduttivo della matematica presenti un grande pericolo; e invero, per quanto l'invenzione costruttiva e l'intuizione che guida e spinge ad agire siano elementi che sfuggono a una formulazione filosofica semplice, essi tuttavia rimangono il nocciolo di ogni conquista matematica, anche nei campi più astratti. Se la forma deduttiva cristallizzata è la mèta, l'intuizione e la costruzione sono per lo meno le forze conduttrici. Una seria minaccia a quella che è proprio la parte vitale della scienza è implicita nell'affermazione che la matematica sia soltanto un sistema di conclusioni tratte da un certo numero di definizioni e postulati soggetti alla sola condizione di non essere contraddittori, ma, per il resto, creati dalla libera volontà del matematico. Se questo fosse esatto, la matematica non potrebbe attrarre nessuna persona intelligente: essa consisterebbe in una specie di giuoco, con definizioni, regole e sillogismi, senza motivo e senza scopo. Dire che l'intelletto può creare a suo piacimento sistemi di postulati aventi un significato, è dire una mezza verità che può trarre in inganno. La mente libera può raggiungere risultati che abbiano un valore scientifico soltanto sotto la disciplina imposta dalla responsabilità di un complesso organico e sotto la guida di una necessità intrinseca.

            La tendenza contemplativa dell'analisi logica, però, pur non rappresentando tutta la matematica, ha condotto ad una comprensione più profonda delle sue proprietà e della interdipendenza di queste, ed ha chiarito l'essenza dei concetti matematici. Ne è derivato un punto di vista moderno, che è tipicamente un atteggiamento scientifico universale.

            Qualunque possa essere il nostro principio filosofico, per quanto riguarda l'osservazione scientifica un oggetto si esaurisce nella totalità delle relazioni possibili con il soggetto o con lo strumento che lo percepiscono. Naturalmente, la sola percezione non costituisce conoscenza e indagine; essa deve essere coordinata e interpretata in rapporto ad una certa entità sottostante, a una «cosa in sé», che non è oggetto di osservazione fisica diretta, ma appartiene alla metafisica. Nel procedimento scientifico gli elementi di carattere metafisico vanno messi da parte, e si devono sempre considerare i fatti osservabili come la fonte ultima delle nozioni e delle costruzioni. La rinuncia a comprendere la «cosa in sé», a conoscere la «verità ultima », a svelare la più riposta essenza del mondo, sarà forse psicologicamente ardua per gli ingenui entusiasti, ma è in realtà uno degli atteggiamenti più fruttuosi del pensiero moderno.

            La coraggiosa determinazione di eliminare la metafisica ha valso come premio la scoperta di alcuni dei più importanti risultati della fisica. Quando Einstein cercò di ridurre la nozione di « fatti simultanei, occorrenti in luoghi diversi» a fenomeni osservabili e smascherò come un pregiudizio metafisico l'opinione che questo concetto debba avere un significato scientifico in sé, trovò la chiave della sua teoria della relatività. Quando Niels Bohr e i suoi allievi analizzarono il fatto che ogni osservazione fisica deve essere accompagnata da un effetto dello strumento osservante sull'oggetto osservato, apparve chiaro che non è possibile, in senso fisico, fissare simultaneamente in modo netto la posizione e la velocità di una particella. Le conseguenze di grande portata di questa scoperta, incorporate nella moderna teoria della meccanica quantistica, sono ora familiari ad ogni fisico. Nel XIX secolo prevalse I'idea che le forze meccaniche e i moti delle particelle nello spazio siano cose in sé, mentre l'elettricità, la luce e il magnetismo dovessero essere ridotti a fenomeni meccanici o « spiegati» come tali, esattamente come era stato fatto con il calore. Fu così inventato l' “etere”, come un ipotetico mezzo capace di moti meccanici, non interamente spiegati, che ci appaiono come luce o elettricità. Lentamente ci si rese conto che l'etere è necessariamente non osservabile; che esso appartiene alla metafisica e non alla fisica. Talora con dispiacere, talora con sollievo, tutte le spiegazioni meccaniche della luce e dell'elettricità, e con esse

l'etere, furono definitivamente abbandonate. Un'analoga situazione, forse anche più accentuata, esiste in matematica. Attraverso i secoli i matematici hanno considerato gli oggetti del loro studio, quali ad esempio, numeri, punti, ecc., come cose esistenti di per sé. Poiché questi enti hanno sempre sfidato ogni tentativo di un’adeguata descrizione, lentamente sorse nei matematici del XIX secolo l'idea che la questione del significato di questi oggetti come cose sostanziali, se pure ha un senso, non lo avesse nel campo della matematica. Le uniche affermazioni rilevanti che li riguardano non si riferiscono alla realtà sostanziale, e stabiliscono soltanto delle relazioni tra gli «oggetti matematicamente non definiti» e le regole che governano le operazioni con essi. Nel campo della scienza matematica, non si può e non si deve discutere ciò che i punti, le rette, i numeri sono effettivamente: ciò che importa e ciò che corrisponde a fatti « verificabili» sono la struttura e le relazioni, che due punti determinano una retta, che i numeri si combinano seconde certe regole per formare altri numeri, ecc. Uno dei più importanti e fruttuosi risultati dello sviluppo postulazionale moderno è stata una chiara indagine della necessità di rendere astratti i concetti della matematica elementare. Fortunatamente, la mente creatrice dimentica le opinioni filosofiche dogmatiche ogni volta che esse ostacolerebbero le scoperte costruttive. Così per gli studiosi come per i profani, non è la filosofia ma l'esperienza attiva che sola può rispondere alla domanda: Che cos'è la matematica?



[1] Richard Courant,  Herbert ROBBINS, Che cos’è la matematica? Introduzione elementare ai suoi concetti e metodi, Boringhieri ed.,  Torino.